La casistica in materia di concorrenza sleale, disciplinata dagli artt. 2598 – 2601 c.c., si presenta oltremodo eterogenea.
A livello generale prevale rispetto alle fattispecie tipiche (art. 2598 n. 1 e n. 2 c.c.) la contestazione di condotte ritenute in violazione della clausola generale prevista in via residuale dall’art. 2598 n. 3, norma che vieta l’uso tra imprenditori di “ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.
In tale ambito ricorre frequentemente la doglianza dell’imprenditore leso riguardo allo storno di personale commesso dal concorrente, spesso ricondotto a una iniziativa più ampia, finalizzata a sottrarre non soltanto risorse umane, ma anche informazioni riservate. Ove poi dette informazioni siano presentate come aventi carattere di segretezza e sensibile valore commerciale, possono trovare applicazione le norme del Codice della Proprietà Industriale in tema di “segreti aziendali”, come del resto avviene nelle ulteriori ipotesi in cui assumano rilievo in giudizio i segni distintivi dell’imprenditore ovvero altri titoli di proprietà industriale.
La specificità delle singole vicende e la notevole rilevanza dei profili fattuali di tali controversie rendono assai arduo, in questa tipologia di contenzioso, estrapolare delle regole di principio applicabili in via universale. Tale difficoltà risulta accentuata dal limitato numero di impugnazioni delle sentenze pronunciate in questo ambito, circostanza quest’ultima che, ancora una volta, se da un lato evidenzia un elevato tasso di accettazione della decisione, dall’altro non consente di avere a disposizione un parametro utile alla valutazione della stabilità “verticale” della decisione e dei principi in essa contenuti.
A livello generale è comunque possibile desumere dal campione di provvedimenti esaminato la tendenza a giudicare la correttezza delle condotte tra imprenditori avuto riguardo al modello economico-sociale di mercato, che connota la struttura economica dell’Unione Europea, e all’esigenza di non alterare le fisiologiche dinamiche concorrenziali, generando in via giudiziale distorsioni sproporzionate rispetto alla gravità della violazione accertata.