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Tribunale di Brescia
I principi sono stati espressi nell’ambito di un giudizio dinnanzi al Tribunale di Brescia promosso da una lavoratrice part time con un’invalidità al 50% contro il proprio datore di lavoro che aveva ridotto il proprio organico al di sotto della soglia di quindici dipendenti e l'aveva licenziata.
La lavoratrice lamentava che il licenziamento irrogato da controparte fosse discriminatorio, in quanto l’unica ragione posta a fondamento del provvedimento espulsivo si doveva rinvenire nelle proprie condizioni di salute. Il datore di lavoro convenuto escludeva che ricorresse un’ipotesi discriminatoria e sosteneva che il licenziamento della lavoratrice fosse stato intimato a fronte di una condizione economica gravemente deficitaria in capo alla società, cui aveva invero fatto seguito, nel corso del 2019, la presentazione di una proposta di concordato preventivo. Sosteneva, quindi, che il recesso datoriale sarebbe stato oggettivamente giustificato dalla complessiva riorganizzazione aziendale conseguente al proprio stato di crisi.
Il Giudice riteneva che la lavoratrice avesse compiutamente descritto e dimostrato la sussistenza dei presupposti che inducevano a ravvisare, nel recesso datoriale, una condotta discriminatoria per ragioni di disabilità, mentre il datore convenuto non aveva dedotto e offerto di provare la ricorrenza di circostanze che, in modo inequivoco, escludessero la natura discriminatoria del recesso datoriale.
In particolare, il fatto che il datore di lavoro abbia ridotto il personale al di sotto della soglia stabilita dall’art. 3, c. 1, lett. c), l. 68/1999 per il collocamento obbligatorio, non si atteggia quale condizione risolutiva automatica in relazione ad un rapporto contrattuale espressamente sorto per la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa di un soggetto disabile.
Secondariamente, il datore non aveva operato alcun raffronto tra la posizione della ricorrente e quella dei colleghi all’epoca ancora in forza alla società. Pertanto, il Giudice stabiliva che il recesso datoriale in controversia risultava discriminatorio e, pertanto, nullo, con conseguente applicazione delle tutele di cui all’art. 2 d.lgs. 23/2015. Accertata e dichiarata l’inefficacia del licenziamento intimato, condannava quindi il datore di lavoro all’immediata reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro nonché al pagamento, in favore della medesima lavoratrice, di un’indennità risarcitoria.
Il fatto che il datore di lavoro abbia ridotto il personale al di sotto della soglia stabilita per il collocamento obbligatorio non si atteggia quale condizione risolutiva automatica in relazione ad un rapporto contrattuale espressamente sorto per la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa di un soggetto disabile.
In tema di ripartizione dell’onere probatorio, il lavoratore deve provare il fattore di rischio, il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghi e non portatori del fattore di rischio, deducendo una correlazione significativa fra questi elementi che rende plausibile la discriminazione.
Il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione.
Il Tribunale ha accolto il ricorso della lavoratrice, condannando il datore di lavoro all’immediata reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro nonché al pagamento, in favore della medesima lavoratrice, di un’indennità risarcitoria.