Home > Diritto delle imprese > Diritto industriale e della concorrenza > Sviamento di clientela mediante sfruttamento di informazioni riservate

Tribunale di Brescia

Il Caso

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo promosso da Alfa s.p.a. avverso l’ordinanza con cui il Tribunale aveva rigettato, per carenza di fumus boni iuris, il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso nei confronti della concorrente Beta s.p.a. e dell’ex collaboratore. In particolare, la società reclamante chiedeva, in riforma dell’ordinanza, di inibire alla concorrente la continuazione di atti concorrenziali volti allo sviamento dei propri collaboratori e della propria clientela. Al riguardo, la reclamante esponeva che l’ex collaboratore avrebbe agevolato il passaggio di tutto il suo team di lavoro presso la società reclamata, mediante condizioni contrattuali “anomale” perché particolarmente vantaggiose. Sulle modalità utilizzate per il reclutamento, rilevava che il contatto e reclutamento avveniva formalmente tramite una società di cacciatori di teste, ma sostanzialmente per il tramite dell’ex collaboratore. Con specifico riferimento all’animus nocendi, deduceva che sottraendo in blocco e simultaneamente la propria forza vendite, la reclamata si sarebbe creata un vantaggio competitivo sleale perché, svuotando l’organizzazione concorrente di uno staff di soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro entro una zona determinata avrebbe, di fatto, reso inefficace un concorrente nell’area in questione. In tema di sviamento di clientela, la reclamante deduceva come controparte avesse provveduto a suggerire agli esercenti di contestare i contratti in essere con altre aziende al fine di spingerle a sottoscriverne di nuovi con la propria. Lamentava inoltre lo sfruttamento da parte della resistente di informazioni commerciali riservate in possesso dell’agente stornato, relative alle condizioni praticate da quest’ultima ai clienti finali dell’area di competenza, al fine di formulare offerte migliorative per favorire il passaggio alla reclamata.

La Massima

In tema di storno di dipendenti la concorrenza illecita non può in alcun caso derivare soltanto dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente né dalla contrattazione intrattenuta con il collaboratore di un concorrente. Lo storno infatti non costituisce di per sé concorrenza sleale, sempre che non sia stato attuato con l’intenzione di danneggiare l’altrui azienda in misura che ecceda il normale pregiudizio che ad ogni imprenditore può derivare dalla perdita di dipendenti che scelgono di lavorare presso altra impresa. L’illiceità della concorrenza deve essere desunta dall’obiettivo, che l’imprenditore concorrente si proponga attraverso il passaggio di personale, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista ed a tal fine e necessaria la sussistenza del c.d. “animus nocendi”, nel senso che il reclutamento di personale dipendente dell’imprenditore concorrente si connota di intenzionale slealtà soltanto quando esso venga attuato con modalità abnormi per il numero o la qualità dei prestatori d’opera distolti ed assunti, cosi da superare i limiti di tollerabilità del reclutamento medesimo che, nella sua normale estrinsecazione, è del tutto lecito. L’indagine sulla sussistenza del requisito in questione va condotta su di un piano puramente oggettivo ed il requisito medesimo deve essere desunto dalle circostanze di fatto nelle quali lo storno è avvenuto ed, in particolare, esso appare ravvisabile ove il comportamento dello stornante sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare se non supponendo nell’autore un animus nocendi, ossia l’intenzione di danneggiare l’altrui azienda. Lo storno è illecito soltanto ove risulti provato che l’assunzione del dipendente altrui sia motivata esclusivamente dal fine di danneggiare l’altrui azienda e non anche quando il concorrente tenda ad ottenere per sé la prestazione di lavoro dell’altrui dipendente, il che sarebbe lecito nel rispetto del principio della libera circolazione del lavoro (conf. Trib. Torino 05.01.2006). In altre parole, affinché l’attività di acquisizione di collaboratori e dipendenti integri l’ipotesi della concorrenza sleale è necessario che sia stata attuata con la finalità di danneggiare l’altrui azienda, in misura che ecceda il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro che scelgano di lavorare presso altra impresa. L’illiceità della condotta ex art. 2598 n. 3 c.c. dovrebbe quindi essere desunta dall’obbiettivo essenziale che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso questo passaggio di dipendenti, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista. Non basta infatti che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente, anche attraverso l’acquisizione dei migliori collaboratori, ma e necessario che sia diretto a privarlo del frutto del “suo” investimento (conf. Cass. 5671/1998). Per individuare siffatta scorrettezza concorrenziale occorre innanzitutto considerare i mezzi utilizzati, valutando non solo le modalità di reclutamento dei dipendenti stornati, ma anche e soprattutto gli effetti potenzialmente “destrutturanti” sull’altrui organizzazione aziendale e la conseguente parassitaria sottrazione di avviamento (conf. Trib. Milano 01.02.2016). Laddove sia contestata una condotta concorrenziale relativa allo sviamento di clientela mediante lo sfruttamento di informazioni riservate, è necessario indicare puntualmente le caratteristiche delle informazioni in questione e i motivi della rilevanza per l’azienda, nonché gli elementi utili ad apprezzare, in sede giurisdizionale, gli effetti prodotti dalle predette condotte, ciò essendo esclusa la possibilità di ravvisare un periculum in mora in re ipsa. Ed infatti, pur essendo ammessa la possibilità di trarre l’esistenza del periculum da indizi presuntivi, esso non può tuttavia essere assunto a priori in base a considerazioni generali e astratte, sicché il meccanismo di operatività della presunzione richiede comunque l’allegazione di circostanze dalle quali dedurre logicamente la probabilità di verificazione di un imminente risultato lesivo, dovendosi però trarre da indizi gravi, precisi e concordanti.

La Decisione

Il Tribunale ha rigettato il reclamo e confermato l’ordinanza reclamata.


Tribunale di Brescia
Ordinanza del 10 gennaio 2020