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Tribunale di Brescia
I principi sono stati espressi nell’ambito di un procedimento promosso con ricorso da un lavoratore avverso il proprio datore di lavoro, volto ad ottenere il risarcimento del danno per infortunio sul lavoro.
Il lavoratore, assunto con contratto part-time professionalizzante, mentre stava effettuando il taglio di una siepe con una macchina tosa siepe, perdeva l’equilibrio e cadeva sulla lama della macchina, procurandosi un profondo taglio all’altezza del polso sinistro. A seguito dell’infortunio, veniva dichiarata l’impossibilità del lavoratore a proseguire il lavoro come giardiniere, nonché l’impossibilità di svolgere l’attività sportiva e di portiere e di body building. Inoltre, l’INAIL accertava la sussistenza di una lesione permanente dell’integrità psicofisica nella misura del 10%.
Il lavoratore vocava in giudizio il datore di lavoro per sentirne dichiarare la responsabilità in ragione della mancata formazione professionale specifica e dell’assenza di strumenti idonei allo svolgimento del lavoro e chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali non indennizzabili dall’INAIL, quantificati in € 78.304,35.
Il datore di lavoro si costituiva in giudizio chiedendo di rigettare il ricorso e, in subordine, di ridurre la pretesa del lavoratore tenendo conto di quanto già percepito dall’INAIL e della reale percentuale di danno in base alle Tabelle del Tribunale di Milano.
Nel corso del giudizio, il lavoratore forniva prova delle circostanze oggetto dell’onere della prova sul medesimo incombente, vale a dire l’inadempimento dell’obbligo di sicurezza da parte del datore e il danno, mentre il datore di lavoro non riusciva a provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il danno in relazione alle specificità del caso.
Il Tribunale ha dunque accertato la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., condannando il medesimo al risarcimento del danno differenziale nella misura di € 33.847,58.
Ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente ed il nesso causale fra questi due elementi; grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provate tutte le suddette circostanze – l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno in relazione alle specificità del caso, ossia al tipo di operazione effettuata ed ai rischi intrinseci alla stessa.
La responsabilità del datore di lavoro è esclusa solo da una condotta dolosa del lavoratore (o comunque assolutamente anomala) ovvero la presenza di un rischio effettivo generato da una attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso.
Nel caso in cui risulti leso un bene costituzionalmente garantito come il diritto alla salute e il fatto integra reato, deve ritenersi ammissibile il risarcimento del danno non patrimoniale.
Nel caso di danno biologico permanente spetta al lavoratore il risarcimento del danno non patrimoniale sotto il profilo, da un lato, della compromissione psicofisica della persona, avente riflesso su tutte le manifestazioni della medesima, indipendentemente dall’incidenza sulla capacità di guadagno in senso stretto; dall’altro lato, sotto il profilo delle sofferenze morali connesse alle lesioni riportate.
Il Tribunale ha parzialmente accolto il ricorso.