Home > Diritto del lavoro > Licenziamenti > Licenziamento per giustificato motivo oggettivo > Sopravvenuta inidoneità delle mansioni > Riduzione dell’orario lavorativo > Onere della prova
Tribunale di Brescia
Principi espressi nell’ambito del procedimento avente ad oggetto il licenziamento di un lavoratore al quale, a seguito di limitazioni imposte dal medico del lavoro rispetto all’attività precedentemente svolta, era stato proposto un impiego alternativo con conseguente riduzione dell’orario di lavoro; proposta che il lavoratore aveva rifiutato, subendo il recesso datoriale. Il lavoratore ha pertanto agito in giudizio sostenendo l’illegittimità del licenziamento.
In caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità delle mansioni, il datore di lavoro è tenuto ad allegare nonchè a dimostrare l’insussistenza, all’interno dell’organigramma aziendale, di altre posizioni presso cui poter utilmente ricollocare il prestatore. Pertanto, ove si riscontri un difetto di allegazione e di prova circa il rispetto dell’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro, il dipendente licenziato per inidoneità fisica o psichica deve poter accedere alla tutela prevista dall’art. 18, co. 4-7, l. 300/1970, non essendo revocabile in dubbio che “un licenziamento per motivo oggettivo in violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute, sia qualificabile come ingiustificato” (Cass., sez. lav., 12.12.2018, n. 32158).
La mancata adesione del dipendente alla proposta di variazione delle mansioni con conseguente diminuzione dell’orario di lavoro non può giustificare il recesso datoriale, in quanto sia l’art. 5 d.lgs. 61/2000 sia l’art. 8 d.lgs. 81/2015 hanno stabilito che un simile rifiuto “non costituisce giustificato motivo di licenziamento”, salvo il caso in cui il datore di lavoro non alleghi e non provi la sussistenza di “effettive esigenze economico-organizzative in base alle quali la prestazione non può essere mantenuta a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto, nonché il nesso causale tra queste e il licenziamento” (Cass., sez. lav., 27.10.2015, n. 21875).
Dall’indennità risarcitoria riconosciuta al lavoratore licenziato illegittimamente non può essere scomputata l’indennità di disoccupazione eventualmente ero-gata dagli Enti competenti, trattandosi di una provvidenza precaria che potrebbe essere oggetto di ripetizione a seguito della ricostituzione del rapporto di la-voro, come chiarito dalla Suprema Corte laddove ha avuto modo di osservare che “non sono detraibili dal risarcimento dovuto ex art. 18 Stat. l’indennità di disoccupazione o altra analoga indennità erogata dall’INPS come quella di mobilità, perché esse non sono acquisite in via definitiva dal lavoratore, essendo ripetibili ove ne vengano meno i presupposti, come accade, appunto, in ipotesi di ripristino in via giudiziale del rapporto di lavoro” (Cass., sez. lav., 29.12.2014, n. 27424).
Il datore di lavoro convenuto per licenziamento illegittimo non può fondatamente invocare la condanna del lavoratore alla restituzione dell’importo già ero-gato a titolo di trattamento e di competenze di fine rapporto, trattandosi di una domanda riconvenzionale o, al più, di una eccezione di compensazione che presuppone un’effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro, che risulta invece ancora incerta; nello stesso senso, la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che “il sopravvenuto carattere indebito di tale pagamento non consente al datore […] di chiederne la detrazione dall’indennità risarcitoria o la resti-tuzione” nel corso del giudizio di impugnazione del licenziamento (Cass., sez. lav., 26.5.2015, n. 10836).
Il Tribunale ha accolto il ricorso.