Home > Diritto delle imprese > Diritto industriale e della concorrenza > Violazione del marchio c.d. descrittivo > Prova della capacità distintiva del marchio c.d. descrittivo
Tribunale di Brescia
Principi espressi in sede di accoglimento di un ricorso promosso in via cautelare ex artt. 131 e 133 c.p.i., 700 c.p.c. e 2564 c.c. da una società attiva nel settore della pubblicità legale delle procedure esecutive e fallimentari per ottenere nei confronti di una concorrente la tutela dei propri diritti di esclusiva sul segno di cui è titolare, registrato come nome a dominio e integrante componente denominativa del proprio marchio italiano ed europeo, nonché nucleo essenziale della propria denominazione sociale.
Per ravvisare l’esistenza di un rapporto di concorrenza fra due imprenditori è sufficiente la configurabilità di un’area di interferenza tra attività dagli stessi svolte, non essendo necessaria la totale sovrapponibilità tra le medesime.
La valutazione della capacità distintiva di un segno registrato come marchio va effettuata sulla base della percezione che di esso abbia il pubblico destinatario dei prodotti o dei servizi contraddistinti, sicché un marchio descrittivo, costituito da segni denominativi privi di capacità distintiva, può essere considerato valido quando, a seguito del consolidarsi del suo utilizzo sul mercato, risulti aver acquisito nel tempo una sua capacità distintiva (conf. Cass. n. 8119/2009).
La prova dell’acquisizione del c.d. secondary meaning può essere fornita non solo per il tramite di apposita indagine demoscopica, ma anche mediante altri elementi indiziari osservati nel loro complesso (campagne promozionali e pubblicitarie realizzate dal titolare del segno, numero di visitatori del sito internet, numero di operatori del settore con i quali l’operatore collabora sin dall’inizio dell’attività).
In caso di utilizzo indebito della componente denominativa del marchio di un concorrente, integrante anche nucleo essenziale della denominazione sociale e del nome a dominio di questo, anche laddove i segni distintivi non abbiano assunto, con l’uso prolungato nel tempo e la rinomanza notoriamente acquisita, i connotati di un marchio “forte”, si deve escludere che scarsi elementi di differenziazione, di per sé privi di adeguato valore individualizzante, aggiunti al nucleo fondamentale dei segni distintivi altrui siano idonei a svolgere funzione di diversificazione.
Ai sensi dell’art 22 c.p.i., che sancisce il principio dell’unitarietà dei diritti sui segni distintivi, può costituire violazione dei diritti esclusivi spettanti al titolare di un marchio registrato l’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile a detto marchio come ditta, denominazione, ragione sociale, nome a dominio o insegna in presenza di un rischio di confusione che può consistere anche in un rischio di associazione, ovvero, in caso di marchio rinomato, allorquando l’uso contestato dia luogo ad un pregiudizio per il titolare del marchio o a un indebito vantaggio per l’utilizzatore del segno.
A prescindere da specifiche violazioni di diritti di esclusiva ex artt. 12, 20 e 22 c.p.i., si ritengono integrate le fattispecie di concorrenza sleale di cui all’art 2598, nn. 1 e 3, c.c. qualora l’elevato grado di somiglianza tra i segni utilizzati dalle imprese concorrenti generi da un lato, il rischio di associazione tra le stesse in termini di confusione circa l’origine imprenditoriale dei servizi da queste offerti e, dall’altro, determini l’indebito sfruttamento del valore attrattivo dei segni dell’impresa di più antica costituzione e, di riflesso, della notorietà della stessa.
Nell’ambito di un procedimento cautelare per ottenere la tutela dei propri diritti di esclusiva, in punto di periculum in mora le ragioni di urgenza vanno ravvisate nella persistente utilizzazione da parte della resistente dei segni distintivi in titolarità della ricorrente all’interno del proprio marchio, della propria denominazione sociale e del c.d. domain name dalla stessa registrato, nonché nel pregiudizio di natura economica - da apprezzarsi necessariamente in termini delibativi e probabilistici - collegato all’indebito sfruttamento degli investimenti della ricorrente. Tali condotte lesive, infatti, possiedono una intrinseca attitudine a sviare la clientela della ricorrente e a cagionare di conseguenza a quest’ultima un danno di difficile quantificazione e riparazione. Inoltre, la pericolosità di tali condotte è aggravata dalla promozione dei propri servizi tramite web, che consente per sua natura di raggiungere in breve tempo un numero indefinito di consumatori.
Il Tribunale ha accolto le domande della ricorrente.