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Tribunale di Brescia
I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da Alfa s.p.a. nei confronti della concorrente Beta s.r.l., nonché nei confronti dell’ex dipendente Tizio, al fine di ottenere il ristoro: (i) del danno commerciale correlato alla diminuzione del fatturato; (ii) del danno da inadempimento contrattuale con riferimento alla violazione del patto di non concorrenza (concluso con l’ex dipendente Tizio) da parte di Beta; (iii) del danno al nome, all’immagine e alla reputazione commerciale. Al riguardo, l’attrice deduceva atti di concorrenza sleale da parte di Beta e segnatamente: (i) la presa di contatti con un proprio cliente “storico” e la proposta di vendita di prodotti concorrenti ad un prezzo inferiore, sfruttando informazioni in possesso dell’ex dipendente Tizio (quali, il listino prezzi); (ii) la presa di contatti con propri ex agenti e l’offerta di prodotti concorrenti ad un prezzo inferiore; (iii) la presa di contatti con un proprio agente e la proposta di avvio di un rapporto di collaborazione; (iv) la presa di contatti con propri fornitori per l’acquisto di prodotti già commercializzati dalla stessa Alfa.
In tema di storno di dipendenti la concorrenza illecita non può in alcun caso derivare soltanto dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né dalla contrattazione intrattenuta con il collaboratore di un concorrente. Lo storno infatti non costituisce di per sé concorrenza sleale, sempre che non sia stato attuato con l’intenzione di danneggiare l’altrui azienda in misura che ecceda il normale pregiudizio che ad ogni imprenditore può derivare dalla perdita di dipendenti che scelgono di lavorare presso altra impresa. L’illiceità della concorrenza deve essere desunta dall’obiettivo, che l’imprenditore concorrente si proponga attraverso il passaggio di personale, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista ed a tal fine è necessaria la sussistenza del c.d. “animus nocendi”, nel senso che il reclutamento di personale dipendente dell’imprenditore concorrente si connota di intenzionale slealtà soltanto quando esso venga attuato con modalità abnormi per il numero o la qualità dei prestatori d’opera distolti ed assunti, così da superare i limiti di tollerabilità del reclutamento medesimo che, nella sua normale estrinsecazione, è del tutto lecito. Non basta infatti che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente, anche attraverso l’acquisizione dei migliori collaboratori, ma è necessario che sia diretto a privarlo del frutto del “suo” investimento (conf. Cass. n. 5671/1998). L’indagine sulla sussistenza del requisito dell’animus nocendi va condotta su di un piano puramente oggettivo, potendo esso essere desunto dalle circostanze di fatto nelle quali lo storno è avvenuto, dai mezzi utilizzati e dalle modalità di reclutamento dei dipendenti stornati, valutando altresì effetti potenzialmente “destrutturanti” sull’altrui organizzazione aziendale e la conseguente parassitaria sottrazione di avviamento, Lo storno è illecito, dunque, soltanto ove risulti provato che l’assunzione del dipendente altrui sia motivata esclusivamente dal fine di danneggiare l’altrui azienda e non anche quando il concorrente tenda ad ottenere per sé la prestazione di lavoro dell’altrui dipendente, il che sarebbe lecito nel rispetto del principio della libera circolazione del lavoro (conf. Trib. Milano 01.02.2016; Trib. Torino 05.01.2006). In tema di concorrenza sleale, la pratica di prezzi sottocosto non può considerarsi di per sé connotata da profili di illiceità, ben potendo inerire a una temporanea e razionale politica di aggressione del mercato, e ciò in quanto la libera concorrenza poggia proprio su iniziative quali l’avvicinamento di clienti altrui e la formulazione di proposte migliorative, anche se molto competitive. Deve ritenersi esclusa la possibilità di riconoscere la responsabilità contrattuale da inadempimento derivante dalla violazione del patto di non concorrenza in capo all’impresa presso cui il soggetto (vincolato dal patto) abbia iniziato a prestare la propria opera lavorativa (asseritamente in violazione del predetto patto di non concorrenza), non essendo la medesima parte del contratto. L’assenza di elementi di antigiuridicità delle condotte asseritamente concorrenziali esclude la possibilità di accoglimento della domanda di risarcimento del danno all’immagine o alla reputazione formulate dal preteso danneggiato.
Il Tribunale ha rigettato, in quanto infondate, le domande attoree.