Home > Diritto delle imprese > Diritto industriale e della concorrenza > Sottrazione di segreti aziendali

Tribunale di Brescia

Il Caso

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso con atto di citazione dalla società Alfa s.r.l., con cui conveniva in giudizio la concorrente Beta s.r.l., lamentando la commissione ai propri danni di atti di concorrenza sleale, mediante storno di dipendenti e sottrazione di segreti aziendali. Al riguardo, l’attrice esponeva che in un circoscritto lasso di temporale riceveva le dimissioni di sei dipendenti/collaboratori appartenenti al medesimo settore, tre dei quali avevano successivamente costituito la società concorrente. Evidenziava, inoltre: la posizione apicale dei dipendenti stornati, particolarmente qualificati, e dunque difficilmente rimpiazzabili; la disgregazione dell’organizzazione aziendale del settore; l’ottenimento da parte della convenuta di incarichi e di commesse da parte del proprio maggior cliente immediatamente dopo la costituzione, senza che vi fossero i tempi fisiologici necessari ad una start-up per realizzare un’autonoma e funzionale organizzazione, in un settore caratterizzato da elevata specializzazione e dalla necessità di possedere software e attrezzature difficilmente reperibili sul mercato. Allegava, sotto diverso profilo, che la convenuta Beta s.r.l. avrebbe acquisito informazioni riservate tramite il personale stornato e grazie a tali informazioni avrebbe quindi progettato e realizzato schede elettroniche analoghe ai modelli sviluppati dall’attrice (che venivano proposti al maggior cliente di Alfa s.r.l., attraverso quegli stessi referenti con cui l’attrice aveva intrattenuto le relazioni tecniche e commerciali), nonché realizzato parti del sistema di proprietà della società attrice, senza essere in possesso di formale documentazione, né della formazione tecnica indispensabili per acquisire il know-how necessario alla progettazione di tali parti. Con particolare riferimento alle informazioni riservate, queste, in tesi, erano caratterizzate da accessibilità controllata, mediante limiti imposti al personale (user name e password), tali da rendere le informazioni protette verso l’esterno e quindi inaccessibili ai terzi.

La Massima

In tema di storno di dipendenti la concorrenza illecita non può in alcun caso derivare soltanto dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente né dalla contrattazione intrattenuta con il collaboratore di un concorrente. Lo storno infatti non costituisce di per sé concorrenza sleale, sempre che non sia stato attuato con l’intenzione di danneggiare l’altrui azienda in misura che ecceda il normale pregiudizio che ad ogni imprenditore può derivare dalla perdita di dipendenti che scelgono di lavorare presso altra impresa. L’illiceità della concorrenza deve essere desunta dall’obiettivo, che l’imprenditore concorrente si proponga attraverso il passaggio di personale, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista ed a tal fine e necessaria la sussistenza del c.d. “animus nocendi”, nel senso che il reclutamento di personale dipendente dell’imprenditore concorrente si connota di intenzionale slealtà soltanto quando esso venga attuato con modalità abnormi per il numero o la qualità dei prestatori d’opera distolti ed assunti, cosi da superare i limiti di tollerabilità del reclutamento medesimo che, nella sua normale estrinsecazione, è del tutto lecito. L’indagine sulla sussistenza del requisito in questione va condotta su di un piano puramente oggettivo ed il requisito medesimo deve essere desunto dalle circostanze di fatto nelle quali lo storno è avvenuto ed, in particolare, esso appare ravvisabile ove il comportamento dello stornante sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare se non supponendo nell’autore un animus nocendi, ossia l’intenzione di danneggiare l’altrui azienda. Lo storno è illecito soltanto ove risulti provato che l’assunzione del dipendente altrui sia motivata esclusivamente dal fine di danneggiare l’altrui azienda e non anche quando il concorrente tenda ad ottenere per sé la prestazione di lavoro dell’altrui dipendente, il che sarebbe lecito nel rispetto del principio della libera circolazione del lavoro (conf. Trib. Torino 05.01.2006). In altre parole, affinché l’attività di acquisizione di collaboratori e dipendenti integri l’ipotesi della concorrenza sleale è necessario che sia stata attuata con la finalità di danneggiare l’altrui azienda, in misura che ecceda il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro che scelgano di lavorare presso altra impresa. L’illiceità della condotta ex art. 2598 n. 3 c.c. dovrebbe quindi essere desunta dall’obbiettivo essenziale che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso questo passaggio di dipendenti, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista. Non basta infatti che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente, anche attraverso l’acquisizione dei migliori collaboratori, ma è necessario che sia diretto a privarlo del frutto del “suo” investimento (conf. Cass. 5671/1998). Per individuare siffatta scorrettezza concorrenziale occorre innanzitutto considerare i mezzi utilizzati, valutando non solo le modalità di reclutamento dei dipendenti stornati, ma anche e soprattutto gli effetti potenzialmente “destrutturanti” sull’altrui organizzazione aziendale e la conseguente parassitaria sottrazione di avviamento, il che consente di ancorare ad elementi indiziari oggettivi il requisito del c.d. “animus nocendi” (conf. Trib. Milano 01.02.2016). In tema di sottrazione di segreti aziendali, l’art. 98 c.p.i., primo comma, prevede la tutela delle informazioni aziendali che “a) siano segrete nel senso che non siano nel loro insieme, o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”. La tutela (art. 99 c.p.i.) è concessa contro le condotte di acquisizione, utilizzazione e rivelazione delle informazioni, purché poste in essere “in modo abusivo”, risultando comunque esclusa ogniqualvolta l’informazione sia ottenuta dal terzo “in modo indipendente”. I requisiti ai fini della protezione delle informazioni di cui sopra possono essere così puntualizzati: a) novità, in quanto l’informazione non deve essere generalmente nota ovvero agevolmente accessibile da terzi; b) valore economico, idoneo ad attribuire un vantaggio competitivo, che viene meno laddove l’informazione sia resa pubblica, con la precisazione che tale requisito presuppone l’effettuazione di uno sforzo economico per ottenere (ovvero duplicare) tali informazioni; c) segretezza, intesa come sottoposizione delle informazioni a misure ragionevolmente adeguate alla protezione, di ordine fisico (es. password) e giuridico (es. non disclosure agreement), con la precisazione che la segretezza non equivale ad una assoluta inaccessibilità (condizione, peraltro, di difficile se non impossibile verificazione), bensì presuppone che l’acquisizione delle informazioni segrete richieda da parte del terzo non autorizzato sforzi non indifferenti, con la conseguenza che non possono essere tutelate informazioni soggette, per loro natura ovvero in ragione di altre circostanze, a diffusione incontrollata o incontrollabile.

La Decisione

Il Tribunale ha rigettato, in quanto infondate, le domande formulate da parte attrice.


Tribunale di Brescia
Sentenza del 31 gennaio 2020