Home > Diritto del lavoro > Infortunio sul lavoro > Azione di regresso dell’INAIL > Rapporto tra azione civile ed azione penale
Tribunale di Brescia
Principi espressi nel giudizio promosso dall’INAIL nell’esercizio dell’azione di regresso, verso la società datrice di lavoro e le società subappaltatrici, derivante dal risarcimento corrisposto per un infortunio sul lavoro con esito letale. Nel dettaglio, il lavoratore era impegnato nella sostituzione di lastre di cemento amianto sul tetto di due edifici, dei quali solo il primo era stato dotato di tutte le misure di sicurezza idonee; il lavoratore, terminato il proprio operato sul primo edificio, aveva proseguito l’attività di sostituzione sul tetto attiguo, ignaro del fatto che su quest’ultimo non fossero state approntate le protezioni necessarie.
In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’azione di regresso dell’INAIL nei confronti della persona civilmente obbligata può essere esperita alla sola condizione che il fatto costituisca reato perseguibile d’ufficio, mentre il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso non deve necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (cfr. Cass. sez. lav. n. 11986/2010). In base all’art. 295 c.p.c., il giudizio instaurato dall’INAIL nei confronti del datore di lavoro, ex art. 11 d.P.R. n. 1124/1965, per ottenere il rimborso di quanto corrisposto al lavoratore per effetto di un infortunio sul lavoro non è soggetto a sospensione necessaria in attesa dell’esito del procedimento penale a carico del datore di lavoro per i medesimi fatti, giacché, in applicazione dell’art. 654 c.p.p., l’efficacia della emananda sentenza penale di condanna o di assoluzione non potrà fare stato nei confronti dell’INAIL, che non è parte nel giudizio penale e che non era legittimato a costituirsi, trattandosi non della proposizione di un’ azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, ma dell’ azione di regresso, diversa da quelle considerate dall’art. 74 c.p.p.” (cfr. ex multis Cass. sez. lav. n. 27102/2018). Pertanto, a seguito dell’esercizio dell’azione di regresso da parte dell’INAIL il giudice del lavoro, pur in pendenza del procedimento penale, ben può procedere all’accertamento del fatto reato in via incidentale in sede civile al fine della delibazione della domanda di regresso.
La responsabilità conseguente alla violazione dell’art. 2087 c. c. ha natura contrattuale, sicché, il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio, o l’Istituto assicuratore che agisca in via di regresso, deve allegare e provare la esistenza dell’obbligazione lavorativa e del danno, nonché il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile vale a dire di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (Cass. sez. lav. N. 12445/2006; Cass. sez. lav. n. 10529/2008); pertanto, nel caso in cui il datore di lavoro sia contumace e non abbia di conseguenza fornito la prova della inevitabilità e della non imputabilità a sé dell’evento dannoso, graverà sul medesimo la responsabilità civile per l’evento stesso.
La speciale azione di regresso spettante all’INAIL, ai sensi degli artt. 10 ed 11 d.P.R. n. 1124/1965, è ormai ritenuta dalla Suprema Corte esperibile “non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso tutti i soggetti - come l’appaltante o il subappaltante - che, chiamati a collaborare a vario titolo nell’assolvimento dell’obbligo di sicurezza in ragione dell’attività svolta, siano gravati di specifici obblighi di prevenzione a beneficio dei lavoratori assoggettati a rischio” (cfr. ex multis Cass. sez. lav. n. 12561/2017); obblighi che non sussistono nel caso in cui uno dei soggetti interessati non abbia conservato una ingerenza o un potere di sorveglianza-direzione concreti tali da poter essere ritenuto investito di una posizione di garanzia.
In caso di subappalto, il datore di lavoro dell’impresa affidataria principale delle opere è certamente destinatario degli obblighi, legislativamente previsti dall’art. 97 d.lgs. n. 81/2008, di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e di coordinare gli interventi delle diverse imprese operanti nel cantiere.
Nel caso in cui l’impresa subappaltante, per il tramite del proprio legale rappresentante, conservi in concreto un potere di controllo e di organizzazione del lavoro nel cantiere è corretto affermare che la stessa ed il legale rappresentante abbiano assunto una chiara posizione di garanzia in relazione alla sicurezza del luogo di lavoro e di tutela delle condizioni di salute di tutti quanti accedessero al cantiere.
Anche nel caso in cui l’infortunato abbia tenuto un comportamento imprudente, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa dello stesso, in conformità del principio consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui “i55n tema di infortunio sul lavoro, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., al di fuori dei casi di cd. rischio elettivo, quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure abbia egli stesso impartito l’ordine, nell’esecuzione puntuale del quale si è verificato l’ infortunio, od ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l’eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell’infortunio ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante” (cfr. Cass. Ord. n. 8988 del 15.05.2020).
Il Tribunale ha accolto il ricorso.