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Corte di Appello di Brescia

Il Caso

Principi espressi nell’ambito del giudizio di appello promosso dal dirigente licenziato, il quale sosteneva che le condotte integranti gli addebiti contestatigli costituissero l’adempimento di obblighi gravanti su di sé.

La Massima

La nozione di giusta causa legale di licenziamento risente dell’investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con l’attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque di impulso, di direzione e di orientamento nella struttura organizzativa aziendale. Pertanto, il dirigente che attribuisca falsamente al proprio datore di lavoro comportamenti gravi, quali l’esercitare un’ingiusta minaccia di licenziamento al solo scopo di ottenere il compimento di azioni contrarie ai propri doveri e all’etica aziendale, e non rispondenti a verità, pone in essere senz’altro una condotta sleale e inaccettabile.
Parimenti, è censurabile l’esternare ai vertici aziendali personali perplessità su presunte condotte sociali illegali che potrebbero esporre a corresponsabilità i vertici interessati, creando una situazione di preoccupazione e di allarme e trasformando le proprie perplessità in strumenti di pressione e intimidazione nei confronti del datore di lavoro. Il diritto di far constare il proprio dissenso non autorizza, infatti, il dirigente a prospettare pubblicamente (a vari organismi e vari vertici, anche della capogruppo) la potenziale commissione di reati da parte dei membri del CDA della società, in assenza di documentazione di supporto ai rilievi sollevati: anche detto comportamento integra una condotta sleale ed inaccettabile che costituisce giusta causa di licenziamento.

La Decisione

La Corte d’Appello ha respinto la domanda del ricorrente appellante.


Corte di Appello di Brescia
Sentenza del 28 giugno 2019 n. 157