Nell’ambito delle azioni di responsabilità promosse nei confronti di amministratori e sindaci di società di capitali vale quanto osservato con riferimento alle impugnazioni delle deliberazioni: il regime legale varia sensibilmente in relazione al tipo societario e, specificamente, la maggioranza di procedimenti coinvolge gli organi sociali di s.r.l.
Le azioni sono normalmente promosse nei confronti di amministratori e sindaci delle società e, con minor frequenza, nei confronti di direttori generali e società di revisione.
Inoltre emerge chiaramente come la maggioranza delle azioni di responsabilità sorga nel contesto di una procedura concorsuale, mentre nelle società in bonis il ricorso allo strumento in questione presenta ancora una diffusione limitata (è tuttavia verosimile che le azioni di responsabilità esercitate nelle società in bonis risultino affidate, quanto al giudizio di cognizione, alla competenza arbitrale in virtù della clausola compromissoria contenuta nello statuto, di talché la competenza del tribunale resta circoscritta alla eventuale fase cautelare).
La casistica più ricorrente è data dalla contestazione nei confronti di amministratori e sindaci della mancata adozione dei provvedimenti previsti dagli artt. 2447 e 2482 ter c.c., in ipotesi di verificazione della causa di scioglimento consistente nella perdita del capitale sociale: con riferimento a tale fattispecie, il campione esaminato evidenzia un elevato tasso di accoglimento delle domande del fallimento, a fronte di una limitata efficacia di eccezioni preliminari quali, ad esempio, la prescrizione.
Risultano altrettanto frequenti e confortate da esiti in prevalenza favorevoli le contestazioni agli amministratori di atti costituenti una distrazione patrimoniale, quali la percezione di compensi non deliberati, prelievi di cassa ingiustificati e l’uso di beni aziendali per finalità private: in tali casi l’amministratore soddisfa raramente l’onere di provare la causa giustificatrice degli atti distrattivi contestati, risultando soccombente e tenuto a risarcire alla società il danno conseguente.
In entrambe le ipotesi suindicate il dato favorevole per il fallimento attore è agevolmente comprensibile, se si considerano la terzietà del curatore e il filtro operato dal giudice delegato in sede di autorizzazione dell’azione.
Più complesse risultano le valutazioni, con annesso calo del tasso di successo dell’azione, allorquando viene contestata una specifica operazione, dovendosi in tal caso superare il principio della tendenziale insindacabilità nel merito delle scelte gestionali, ove siano adottate sulla base di un processo decisionale idoneo e non emergano profili di anomalia, grave negligenza, irrazionalità ovvero situazioni di conflitto di interessi.
A livello generale la rilevanza delle specifiche circostanze di fatto e la varietà di situazioni in cui può verificarsi un evento lesivo per la società o i suoi creditori rendono difficoltosa l’estrapolazione di regole di principio applicabili in via generale, specie con riferimento alla posizione dei sindaci, la cui responsabilità si atteggia in modo diverso a seconda del tipo di violazione accertata e del contributo causale, di regola omissivo, reso alla verificazione del danno.
A quanto sopra osservato si aggiunga l’assai limitato numero di impugnazioni delle sentenze pronunciate in questo ambito di contenzioso, circostanza quest’ultima che, se da un lato evidenzia un elevato tasso di accettazione della decisione, dall’altro non consente di avere a disposizione un parametro utile alla valutazione della stabilità “verticale” della decisione e dei principi in essa contenuti.