Home > Diritto del lavoro > Licenziamenti > Licenziamento disciplinare per giusta causa > Autotutela del lavoratore (sospensione autonoma della prestazione lavorativa)
Corte di Appello di Brescia
Nel caso di specie il lavoratore, vedendosi soppressi i trattamenti migliorativi in essere prima del trasferimento d’azienda, riduceva autonomamente e proporzionalmente la prestazione lavorativa lamentando un inadempimento del datore di lavoro.
In ipotesi di cessione d’azienda, l’accordo sindacale concluso ai sensi dell’art. 47, co. 5, l. n. 428/1990, con il quale sia convenuto che tutti i rapporti di lavoro in essere con la società cedente siano trasferiti alla cessionaria a condizione della soppressione di tutti i trattamenti individuali migliorativi rispetto al trattamento economico della contrattazione collettiva nazionale pertinente e della contrattazione aziendale, è vincolante ed efficace per tutte le parti interessate alla cessione, ivi compresi i lavoratori, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti e pur in assenza di adesione o ratifica (conf. Cass. n. 4073/2001). Nel caso di trasferimento d’azienda di un’impresa assoggettata a procedura concorsuale, la derogabilità dell’art. 2112 c.c. si giustifica in ragione della conservazione dei livelli occupazionali e si legittima con la garanzia della conclusione di un accordo collettivo capace di derogare la fattispecie con efficacia nei confronti di tutti i soggetti interessati (conf. Cass. nn. 19282/2011, n. 5929/ 2008). La priorità di tutela si sposta, per politica legislativa, dal piano del singolo lavoratore (cui risponde l’esclusiva applicazione dell’art. 2112 c.c.) al piano dell’interesse collettivo al perseguimento dell’agevolazione della circolazione dell’azienda, quale strumento di salvaguardia della massima occupazione, in una condizione di obiettiva crisi imprenditoriale, anche pregiudicando alcuni diritti titolati nell’art. 2112 c.c. purché ci si avvalga della consultazione sindacale. In ogni caso, il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente sospendendo autonomamente e proporzionalmente la prestazione lavorativa quando il datore di lavoro assolva a tutti gli obblighi propri (vale a dire: pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo una parte rendersi totalmente inadempiente ed invocare l’art. 1460 c.c. soltanto se è totalmente inadempiente l’altra parte (conf. Cass. nn. 836/2018, 2033/2013, 12696/2012, 29832/2008). Agli obblighi ex artt. 2086 e 2104 c.c., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost., il lavoratore può, dunque, legittimamente sottrarsi solo a fronte di un totale inadempimento dell’altra parte o di inadempimento di tale gravità (perché, ad esempio, in grado di compromettere i beni personali del lavoratore, quali vita e salute) da non consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa (conf. Cass. n. 836/2018). Il licenziamento, costituendo la più grave delle sanzioni applicabili al lavoratore, in tanto può essere considerato legittimo in quanto l’inadempimento del dipendente rivesta una gravità tale che qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro, essendo irrimediabilmente venuto meno l’elemento fiduciario che costituisce il presupposto fondamentale della collaborazione tra le parti del rapporto di lavoro.
Il Collegio ha rigettato la domanda di annullamento del licenziamento disciplinare con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro.